Intervista alla cantautrice e attrice Titta in occasione dell’uscita del suo primo singolo, “Ostaggi”, brano vincitore del Premio Mogol al Tour Music Fest
In occasione dell’uscita di “Ostaggi“, (prodotto da Mad Records), primo singolo dell’attrice e cantautrice fiorentina, Titta, vincitrice del Premio Mogol per il Miglior Testo al Tour Music Fest, abbiamo avuto il piacere di intervistarla per scoprire qualcosa di più del brano che è diventato il manifesto delle sue emozioni. Infatti la canzone nasce come uno sfogo per tirar fuori tutte quelle sensazioni che si provano e che, a volte, vengono soffocate attraverso il cibo. 3 minuti e 32 secondi in cui Titta racconta moltissimo di sé lasciando intravedere una luce che l’artista ha effettivamente trovato, la luce del cambiamento.
“Ostaggi” parla di un sentimento molto forte, sentirsi ostaggio di sé stessi e delle proprie insicurezze. C’è stato un momento particolare in cui hai deciso di scrivere questo brano?
“In realtà no, non ricordo il momento preciso in cui l’ho scritta, ma ricordo bene il momento in cui l’ho scelta, in cui ho scelto di puntare tutto su “Ostaggi“. L’ho scelta perché volevo mostrarmi per una volta senza maschere, così, in tutta la mia fragilità e vulnerabilità, e ricordare a me stessa che la mia forza parte proprio da lì”.
Il brano si chiude con una speranza quella di accettarsi. Secondo te il problema dell’accettarsi e dell’amarsi dipende da noi stessi oppure da una società che ci impone determinati standard a cui afferire?
“Secondo me ci sono vari step. Lo sguardo degli altri sicuramente è una zavorra, perché un bambino non si rende conto di essere “diverso” se nessuno ce lo fa sentire. Ricordo che quando avevo circa 8 anni i miei compagni di classe mi dicevano che ero grassa e io rispondevo “io non sono grassa, sono normale, siete voi che siete secchi” e ridevo. Ma a lungo andare non c’era più molto da ridere. Venivo bullizzata e discriminata e non ero obesa come sono adesso, ero solo “cicciottella”. Per mia fortuna avevo dalla mia parte la simpatia, così ho iniziato a sviluppare un’autoironia che, almeno apparentemente, mi ha salvato. Ma le parole sono pesanti quando sei un bambino, un adolescente… e ti feriscono dentro, perché tu finisci per crederci anche se credi di no, e finisce che ti identifichi, che pensi di essere il tuo corpo. Quando succede questo accettarsi ed amarsi non è più un ‘problema’ della società, diventa qualcosa di estremamente personale che dipende da noi stessi.
Purtroppo viviamo ancora in una società in cui se sei obesa non puoi essere una cantante famosa, una presentatrice… ma neanche una commessa, una cameriera. La società ti isola e tu, che magari stavi bene anche grassa, inizi a sentirti sbagliata, guasta… e così finisce che amarsi ed accettarsi diventa un ‘problema’. Bisogna occuparsi di tutte le ferite e cercare di dissociare il proprio valore personale da quello che la società ci ha fatto credere di essere, difettati, e ricordarci che nessuno può salvarci se non noi stessi”.
In un periodo storico in cui la scrittura all’interno delle canzone sta ormai passando in secondo piano, di fronte all’estetica “Ostaggi” si pone su un altro piano: quello di voler trasmettere un messaggio. Qual è secondo te la chiave per trasmettere un messaggio ad ascoltatori disattenti e bombardati come sono gli ascoltatori medi di oggi?
“Sono una sostenitrice della canzone italiana vecchia maniera. Non disprezzo le hit estive “mordi e fuggi”, ma penso che la nostra storia della musica racconti molto altro. Gli ascoltatori non sono disattenti, forse solo distratti da troppi impulsi che restano però in superficie.
Per me le canzoni sono un po’ come le nipoti della poesia, e dai nonni c’è sempre da imparare.
Mi piacerebbe fare quello che hanno sempre fatto i cantautori italiani… esprimere il loro punto di vista relativamente a un concetto universale, in modo personale.
Il nostro modo di raccontare qualcosa è solo nostro. Se io e altre tre persone descriviamo un tramonto, ognuno lo descriverà in modo diverso… a seconda dell’emozione che proviamo mentre lo guardiamo o fosse anche solo perché a seconda del nostro occhio tutti noi vediamo colori diversi.
È questo che ci rende preziosi, la capacità di usare le parole per raccontare qualcosa in un modo in cui solo noi la vediamo e ricordarci che comunque, nonostante tutto, siamo tutti simili, pur nella nostra unicità”.
Un brano assolutamente da ascoltare con attenzione, quello di Titta, che dal 25 giugno scorso è anche in rotazione radiofonica.