È uscito ieri, 28 settembre, Una famiglia, il film di Sebastiano Riso prodotto da Indiana Production e Rai Cinema e distribuito da BIM. Accolto alla 74esima Mostra internazionale del cinema di Venezia con molta freddezza per il tema atroce che tratta: la compravendita di neonati
Una famiglia è un film che ti sconquassa l’anima, ti fa male, ti ferisce, soprattutto se sei donna, madre e, ancor più, se non lo sei. Sebastiano Riso è stato molto coraggioso nella scelta di un tema purtroppo attualissimo anche qui in Italia. Nel suo film non parla di utero in affitto, ma di quanto oggi nel nostro Paese sia difficile farsi una famiglia. A partire, per esempio, dai mille ostacoli che riguardano il mondo delle adozioni. E la conseguenza estrema di questa difficoltà ad avere figli è il traffico di bambini.
Il regista e i suoi sceneggiatori si sono basati su una serie di storie vere ricostruite grazie all’accesso a intercettazioni telefoniche in cui si descrive in dettaglio come funzioni in Italia la compravendita di neonati. La storia è incentrata sul rapporto morboso di una coppia che mette al mondo figli per poi venderli al miglior offerente. I due interpreti sono l’immensa Micaela Ramazzotti (Maria) e il bravissimo attore e cantante francese Patrick Bruel (Vincenzo). Il punto di vista è quello di Maria, una donna fragile che si stringe nel suo giubbotto rosa di lana cotta, quasi per farsi coraggio. In lei, però, sin dalla prima scena si percepisce un desiderio di ribellione che matura e cresce nel corso del film.
Maria vive una vita che non ha scelto, è succube di un amore molto carnale e dai tratti ossessivi che l’ha portata ad aderire a un progetto criminale. Vincenzo è marito, amante, amico, carceriere e padrone. Il loro rapporto è tormentato, denso di silenzi, di sensi di colpa soffocati e di parole non dette. Lei è il ritratto della sofferenza: scavata in viso, è angelica come una Maria. Lui, tozzo e animalesco, potrebbe definirsi il mostro della porta accanto travestito da buono.
Il film ha la lucidità di una lama che prima ti si mostra e ti spaventa e poi ti penetra e ti fa ancor più male. La ricerca della libertà si traduce per Maria nel desiderio di un figlio solo suo, da tenere, da stringere a sé e non mollare più. Maria lotterà per questo, aggrappata a una vita che per lei ormai è diventata quella di un automa: una macchina sforna-figli che si sta pure inceppando.