Invitato a Roma per ritirare il Premio David di Donatello alla carriera, Tim Burton, ne ha approfittato anche per incontrare la stampa nella splendida cornice dell’hotel Eden e parlare, in un’atmosfera rilassata e giocosa, del suo “Dumbo“, versione live action del classico Disney del 1941, in uscita oggi 28 marzo nelle sale italiane. Di seguito trovate la trascrizione di quello che Tim Burton ci ha raccontato in conferenza stampa, mentre se preferite ascoltarlo dalla sua voce, potete cliccare QUI e magari lasciarci un like e un commento sul nostro canale YouTube.
Gli occhi nei suoi film sono sempre in primo piano, tanto che la maggior parte dei suoi personaggi recitano anche con gli occhi. Anche per Dumbo è così. Ci spiega come ha affrontato la rappresentazione degli occhi di Dumbo?
“Sì. Per me la rappresentazione degli occhi è molto importante, soprattutto per i personaggi che non parlano o comunque non parlano molto. In questi casi è chiaro che le emozioni devono essere espresse in modo differente. E la cosa migliore in questo caso, era andare alla ricerca di una forma semplice, pura, in un mondo invece così caotico. E il modo migliore per esprimere queste emozioni è stato proprio attraverso gli occhi. Ci abbiamo lavorato molto, soprattutto sullo sguardo di Dumbo, su come riuscire a trasmettere determinate emozioni.”
Dumbo ricorda molto l’industria dello spettacolo e, in generale, dello show buisness: è la storia di un artista indipendente che ha molto successo, viene preso da una società molto più grande per fare la stessa cosa e guadagnare molto di più. Quando ha letto la sceneggiatura del film ci ha visto questa cosa?
“Quando ho letto lo script, in effetti, ci ho pensato. E ora che ne parliamo… beh, sì, mi sembra una storia familiare. Ma qui, a differenza di quello che succede spesso nello show business, abbiamo il lieto fine. Tutto quanto conduce ad una liberatoria fuga.”
Anche in Dumbo, proprio come in Miss Peregrine, ritroviamo i temi della differenza, dell’essere diverso, dell’autostima e poi sul finale c’è una sorta di appello al circo senza gli animali. Cosa ne pensa lei in proposito?
“Sì. Il fatto è questo: faccio film sul circo, ma non amo il circo. I pagliacci, ad esempio, mi fanno paura. Mi hanno sempre terrorizzato. E non mi piacciono gli animali costretti ad esibirsi. Discorso diverso per gli zoo. È chiaro che un animale selvatico non dovrebbe essere costretto a fare cose strane, diverse dalla sua natura. Lo zoo invece può essere utile ad insegnare qualcosa ai bambini o a proteggere delle specie a rischio di estinzione. Tornando al circo, faccio l’eccezione dei cani e dei cavalli che sembrano divertirsi. Ma io lavoro sempre con gli animali, me incluso.” (sorride)
Il grande incendio di Dreamland ricorda il film The Greatest Show on Earth di Cecil B. De Mille. Lo ha visto? Ne ha preso ispirazione?
“È una sorta di circo biblico. Avete visto Circus of Horror? Quello è il mio preferito.”
Tornando un attino a parlare degli occhi di Dumbo: quando uscì il cartoon nel 1941 ci fu una polemica. Erano troppo chiari, troppo celesti. Ecco, lei ci ha pensato? Si è posto il problema nei confronti di questa polemica?
“Fortunatamente quando c’è stata quella polemica io non c’ero, quindi non mi riguarda.”
Lei fa sempre film controversi. Come mai ha scelto di inserire in questo film anche le vicende umane, che mancavano nel film d’animazione originale?
“Quello che mi piaceva della sceneggiatura erano le storie degli umani intorno a Dumbo. Perché c’erano grandi parallelismi. C’è sempre questo senso di perdita, di assenza. I bambini perdono i genitori, un ragazzo perde un braccio, qualcuno perde la moglie. Abbiamo questo senso di smarrimento e se vogliamo questa è un’analogia bella con il tema di Dumbo stesso. Si trattava di poter esplorare il senso di famiglia nelle sue molteplici forme.”
Come è cambiato il suo rapporto con la Disney nel corso del tempo? E adesso dalla Disney ha avuto quella libertà completa che magari in passato non era mai riuscito ad ottenere?
“No. Nessuno ha mai tutta la libertà che vorrebbe. La vita è così. Esattamente come in una famiglia, no? C’è del buono, qualche polemica… E va bene così. Voi amate sempre la vostra famiglia? Tutto il tempo? Alzate la mano.”
Se le avessero dato la possibilità di scegliere il film Disney su cui fare un live action, avrebbe scelto proprio Dumbo?
“Assolutamente sì. Doveva essere Dumbo. Dumbo per me era quello che più mi permetteva di fare qualcosa di valido, per tutta una serie di motivi. C’erano tante tematiche che mi erano vicine. Perché non si poteva semplicemente fare un remake ormai datato. Questo però consentiva di prendere tematiche molto belle e trasformarle. Dargli nuova vita. Senza contare che il film d’animazione era molto più corto, quindi c’era tutto un mondo da esplorare.”
In Dumbo quanto effettivamente è stato usata la CGI?
“È stato molto strano girare questo film. Per lo più si è trattato di costruire veramente il set e la scenografia, soprattutto per dare un senso di familiarità e agevolare il lavoro degli attori. A parte l’utilizzo del green screen soprattutto per gli sfondi. Poi col fatto che il protagonista principale non c’era mai, volevamo dare qualcosa di davvero concreto alla troupe.”
Sono passati tanti anni dai suoi Batman. Chi, secondo lei, dopo i suoi film, ha raccolto meglio l’eredità del personaggio DC: Nolan o Zack Snyder?
“Sono entrambi molto bravi. Io mi reputo molto fortunato per aver potuto lavorare su Batman quando non era ancora una moda. È stato un vero privilegio e soprattutto molto divertente lavorare su qualcosa che non era stato fatto prima. Ed è chiaro che dopo può essere trasformato in qualcosa di più grande. Ma, appunto, sono stato molto fortunato.”
Il suo cinema è diventato sempre più digitale anche nel look. È solo un sintomo dei tempi che cambiano o lei veramente si riconosce in questo tipo di cinema?
“Sì, i tempi cambiano. Abbiamo a disposizione nuovi strumenti, nuove vie. Certo, le cose più tradizionali mi mancano. Per esempio amo il cinema d’animazione fatto con le tecniche di una volta. Continua ad essere presente in me la passione per la natura tattile del fare cinema. E cerco sempre di mantenere questa presenza, anche se ammetto che è molto stimolante utilizzare le nuove tecnologie.”
Domani sera riceverà il David di Donatello alla carriera e nella stessa cerimonia verrà premiato anche Dario Argento. Sappiamo che siete molto amici, ce ne può parlare?
“Beh, tra le figure del cinema italiano che mi hanno ispirato ci sono Mario Bava, Fellini e naturalmente Dario Argento. Lui è uno straordinario regista e sono molto felice per lui.”
La sequenza degli elefanti rosa, che ha traumatizzato la nostra infanzia. Se ne è parlato molto, del fatto che era un momento delicato, soprattutto nell’ottica di un bambino. È bello il modo in cui ha scelto di affrontarla usando le forme del nuovo cinema. Ci può spiegare come è riuscito a trasformare la scena psichedelica del film originale in pura magia?
“È giustissima questa considerazione. Infatti questa particolare scena è molto strana e l’idea fondamentale era che rimanesse in questo film, ma in un contesto diverso. Bisognava costruire un’immagine meno da incubo. Così guardando gli artisti che lavorano con le bolle di sapore mi è venuta l’idea della scena come l’avete vista. Si è cercato di mantenere la natura della scena originale, ma in modo diverso, come se la stesse vedendo Dumbo.”
È soddisfatto del risultato finale o c’è qualcosa che cambierebbe?
“Quando finisce un film come questo ti senti particolarmente vulnerabile. Rivediamoci fra tre anni, rifatemi la domanda e vediamo cosa avrei cambiato.”
Lavorando al live action di Dumbo le è per caso venuta voglia di girare una versione live action di Nightmare before Christmas?
“Per farlo dovrei prima trovare qualcuno che fosse tanto magro quanto Jack Skeletron. Comunque no.”