Trama, trailer e recensione in anteprima di The Farewell – Una bugia buona il film diretto da Lulu Wang, con Awkwafina e Shuzhen Zhao. Dal 24 dicembre al cinema distribuito da BIM Distribuzione
È meglio raccontare una bella bugia o rifugiarsi in una brutta verità? Partendo dal presupposto secondo cui non esiste una risposta inequivocabilmente corretta e che occorre esaminare attentamente il singolo caso, ci sono situazioni che suggeriscono di ricorrere a un approccio estraneo all’etichetta. Chiaramente, è sempre la sensibilità delle persone coinvolte a fare la differenza, determinando in ultima battuta la strada da percorrere. Questo il dilemma che affligge Billi (Awkwafina) la protagonista di The Farewell – Una bugia buona, film diretto da Lulu Wang. Una giovane donna nata a Changchun, in Cina e cresciuta a New York City dove i suoi genitori si sono trasferiti. Il più grande desiderio di Billi è quello di trovare il suo posto nel mondo e affermarsi come scrittrice. Sogno che si rivelerà davvero difficile da realizzare. Nonostante il trasferimento in America e l’integrazione con gli usi e costumi a stelle e strisce, la ragazza ha mantenuto un potentissimo legame con la Cina grazie alla sua nonna paterna, Nai-Nai (Shuzhen Zhao). Purtroppo nonna e nipote si vedono di rado, ma nonostante la distanza sono molto legate, al punto che, per non creare preoccupazioni l’una all’altra, spesso si raccontano piccole bugie a fin di bene.
Quando la ragazza scopre che l’anziana è gravemente malata e le restano solo poche settimane di vita, insieme alla sua famiglia decide di tenere all’oscuro Nai-Nai per farle trascorre serenamente questi ultimi istanti. Con un piccolo stratagemma, ovvero la celebrazione di un matrimonio, tutta la famiglia si riunisce a Changchun per stare accanto alla nonna. I genitori di Billi, però, non desiderano che lei prenda parte alla festa, perché credono che la ragazza potrebbe svelare il segreto a Nai-Nai. Ma ignorando il volere della sua famiglia, Billi vola in Cina per l’ultimo addio alla sua amata nonna. Un triste viaggio che si rivelerà un’occasione per riscoprire i costumi della sua cultura e passare finalmente del tempo con l’anziana. Saranno giorni emozionanti e indelebili per tutti, soprattutto per Billi, che non sta attraversando una fase brillante della sua vita.
The Farewell – Una bugia buona è una storia molto personale per la giovane Lulu Wang, che l’ha scritto e diretto. Una commedia indie degli equivoci in cui famiglia e bugie a fin di bene si fondono, come se ci fosse una diretta proporzione tra la grandezza dell’affetto e quella delle menzogne. Un’opera apolide, che riflette il disagio di chi, come la Wang e Billi, è condannato, per la sua particolare storia di emigrazione, a sentirsi straniero in ogni situazione e in ogni luogo. Il viaggio della protagonista dalla caotica New York alla sua madrepatria è un percorso prima di tutto interiore, che la porta a confrontarsi con due culture agli antipodi. Da una parte quella americana, alla disperata ricerca di nettezza e verità, dall’altra quella orientale, che si muove sulle sfumature, sul non detto, arrivando ad accettare e normalizzare le bugie bianche, dette per alleviare le sofferenze di chi le ascolta. La Wang mette così in scena un “cancer movie” atipico, che non concentra la narrazione sul dolore e sulla malattia, ma al contrario utilizza la condizione di Nai-Nai per diversi spassosi siparietti, incentrati sugli sgangherati tentativi da parte della famiglia di tenere la donna all’oscuro di tutto. Si respirano le atmosfere di commedie etniche come “Il mio grosso grasso matrimonio greco” (con il quale The Farewell – Una bugia buona condivide uno sposalizio dai risvolti tragicomici), con la regista che si rivela abilissima nel miscelare, senza mai sbilanciare il racconto, gli aspetti della cultura cinese che possono risultare più bizzarri per gli spettatori occidentali con una riflessione lucida e intima sul ritorno a casa e sulla progressiva riappropriazione delle proprie origini da parte della protagonista.
Tutto ruota attorno a una riunione di famiglia pianificata dopo tanti anni di lontananza, con le inevitabili differenze instauratesi nel frattempo, un’occasione che permette di intavolare un confronto tra chi non ha mai abbandonato la terra di origine e chi scelse di levare gli ormeggi, evidenziando le variazioni insite nel tessuto, urbanistico (con una carrellata sui nuovi grattacieli edificati uno in fila all’altro, come a formare enormi formicai) e sociale della Cina contemporanea.
The Farewell – Una bugia buona fonda il suo fascino proprio sul concetto di mescolanza, perché parte da radici cinesi che danno forma a un albero americano, in cui cova lo spaesamento dell’esiliato e quel senso di vuoto e di ricerca di un posto alla base di tutto il cinema a cavallo di mondi e paesi. Wang lavora con una certa finezza sulla cultura, il senso di appartenenza, gli scontri sociali e soprattutto intimi di chi ormai, come la sua protagonista, come lei stessa, sono stranieri ovunque.
L’idea vincente è tradurre queste contrapposizioni – narrative, culturali, estetiche, politiche – attraverso la grande metafora della bugia come motore familiare, che si autoalimenta fino a diventare incontrollabile. È ancora più essenziale alla buona riuscita del film il ruolo di filtro che dà la protagonista, Awkwafina, donna americana di origini cinesi e sudcoreane che ha studiato il cinese per poi darsi al rap e diventare attrice. Il modo in cui incarna i temi stessi del film nella sua sola biografia rendono efficace e molto espressivo il suo percorso di ragazza alla ricerca di sé stessa.
Per dare risalto ai suoi personaggi oltre che alla narrazione, la regista ha scelto per The Farewell – Una bugia buona un approccio discreto e naturalista, prevalentemente a camera fissa e privo di virtuosismi registici. I momenti migliori, prevedibilmente, sono quelli fra Billi e la dolce Nai-Nai, magistralmente impersonata da Zhao Shuzhen. La nonna diventa per la giovane nipote motivo di riflessione su una scelta, come quella del silenzio a proposito della malattia, difficile da accettare, e sul suo irrimediabile blocco fra due culture, due mondi, due modi diametralmente opposti di intendere l’esistenza. Assistiamo così alla trasformazione della fragile aspirante artista in un’adulta più forte, che proprio nel momento del totale abbandono a un contesto che non le appartiene trova la forza e il coraggio di lasciarsi andare totalmente ai sentimenti e alla sua disfunzionale e contraddittoria famiglia. Un’interpretazione quella dell’Awkwafina basata sui silenzi e sugli sguardi che infondono allo spettatore un palpabile senso di disorientamento e che mettono in luce ancora una volta le sue notevoli doti attoriali.
Il risultato è una commedia familiare piacevole ed emozionante, che utilizza il tema della morte per una profonda riflessione sullo smarrimento etico e culturale, capace di commuovere il pubblico di ogni età e latitudine. Una delicata storia di affetto e inadeguatezza, di famiglia e incomunicabilità, di rimorso e di riscoperta su cui mette il punto un travolgente finale, dal quale è davvero difficile uscire senza gli occhi lucidi. Dulcis in fundo, la struggente Senza di te di Fredo Viola accompagna i titoli di coda, permettendo a Lulu Wang di riappropriarsi della commovente bugia vera di un’opera che sa trasformare un presagio di morte in un irresistibile inno alla vita.
Assolutamente consigliato dal 24 dicembre al cinema distribuito da BIM Distribuzione!