Francesco Renga torna in gara per la nona volta al Festival di Sanremo con il brano “Quando trovo te”, presentata in un video incontro con la stampa tra ricordi e una gran voglia di ripartenza

Francesco Renga a Sanremo 2021 con “Quando trovo te”Un Francesco Renga sereno e sorridente ha presentato in un video incontro con la stampa il brano che porterà in gara al 71° Festival di Sanremo: “Quando trovo te” (Sony Music). Canzone scritta da Francesco con Roberto Casalino e Dario Faini, che esplora il concetto di “oblio salvifico”: dimenticare come forma di protezione e come riparo da una vita che spesso ci costringe alla fretta. Il brano racconta del momento in cui quel ricordo felice che ognuno di noi tiene nascosto in fondo al proprio cuore come un prezioso tesoro, al riparo da tutto, all’improvviso riaffiora potente nelle nostre esistenze, restituendo loro un senso più profondo e aprendoci gli occhi su una realtà che è migliore di quello che pensiamo.

Prima di passare alle domande dei giornalisti Renga ci ha tenuto a spiegare cosa significa per lui partecipare quest’anno a Sanremo.

“Tornare a Sanremo non ha mai avuto per me un significato più profondo – racconta Francesco Renga – non è solo la gioia di tornare su quel palcoscenico, in quel contesto così importante per la musica e per il mio lavoro. Questa volta significa ricominciare finalmente a farlo, il mio lavoro, anche se solo con gli addetti ai lavori e senza il pubblico. Significa ripartire insieme con tutto il Paese. Questa 71esima edizione di Sanremo, che per il contesto in cui si sviluppa entrerà negli annali, diventa così il simbolo stesso di una ripartenza del mondo dello spettacolo e un segnale di speranza: la speranza che questo incubo possa finire il prima possibile”.

“Comunque per me Sanremo rimane quell’appuntamento imprescindibile del mio lavoro e quando sono riuscito a partecipare perché avevo bisogno, urgenza di un racconto è sempre stato importante per me”.

Una stanza, due sedie, la cena e un film, è questa secondo te la nuova normalità?

“Per me, tra l’altro, lo è già da un po’ di tempo, perché essendo un po’ su con gli anni non è che si pensa a discoteche, a limite un cinemino o un ristorante quando si poteva ancora frequentarli. Però si la normalità è questa. La canzone racconta proprio questo concetto: l’esplosione di un ricordo che sale dall’anima e ti riporta a una normalità che spesso è sinonimo di felicità. O almeno lo è per me. Quindi nel casino della vita, e del quotidiano di ogni giorno credo che sia salvifico anche quando in un momento di disperazione ti ricordi che a casa c’è qualcosa che ti aspetta di bello. Basta il ricordo di un abbraccio, di un profumo, di uno sguardo”.

Nel periodo del lockdown duro si diceva: “andrà tutto bene ne usciremo migliori”. Secondo te è andato tutto bene e ne siamo usciti migliori?

“Non è andato, forse, tutto bene. Credo che quello fosse un augurio che ci siamo fatti tutti quando questa pandemia sembrava ancora un film che speravamo di non vedere, ma soprattutto di non vivere mai in prima persona. Non è andato tutto bene, però forse ce la siamo cavata. Forse ce la stiamo cavando. Non è andato tutto bene perché quello che era stato detto all’inizio e cioè che nessuno sarebbe stato lasciato indietro, non si è verificato. Molti lavoratori dello spettacolo, ad esempio, hanno avuto pochissime attenzioni da parte del governo.

Per quanto riguarda “ne usciremo migliori“, posso parlare per me e certamente questo periodo così travagliato e assurdo, a me è servito anche per ritrovare e riscoprire delle cose che stavamo tutti quanti perdendo. Anche il solo fatto di rimanere a casa, anche forzatamente, ci ha dato modo di riscoprire certe cose che rischiavamo di perdere. Ossia tutte quelle piccole cose di ogni giorno, di cui parlo anche nella canzone, che sembravano scontate, invece in quel momento sono diventate la nostra vita, la nostra esistenza. E anche un certo modo di condividere anche il dolore degli altri, il fatto di esserci sentiti di colpo soli, ognuno solo nella propria abitazione, ci ha dato paradossalmente quella idea di comunità che forse stavamo rischiando di perdere. In realtà c’è un’attitudine all’inclusione, secondo me, diversa adesso. Una visione anche della società diversa. Ognuno ha cercato di fare il possibile nell’ambito che gli era più facile raggiungere e anche questo è stato importante: l’aiutare gli altri quando ci si rendeva conto che stavano rimanendo indietro.

L’ansia che si percepisce in “Quando trovo te” potrebbe essere legata alla situazione che stiamo vivendo?

“Si certamente si può partire dalla situazione che si è vissuto e che si sta vivendo, perché in realtà il brano racconta di un uomo che cammina per strada in preda a una frustrazione, una sensazione negativa che lo porta a ricordarsi di qualcosa che aveva, più che dimenticato, nascosto. Perché credo, non solo all’oblio salvifico, ovvero quei ricordi che dimentichiamo perché ci salvano la vita, ma anche all’opposto, ossia a quei ricordi che teniamo invece ben custoditi nel profondo della nostra anima per tutelarli e proteggerli dalla frenesia e dal casino delle nostre vite. Quando questi ricordi riaffiorano invece ci riportano a una situazione di normalità, che in realtà, come ho detto prima, coincide con la nostra felicità, le piccole cose di ogni giorno. Quelle che a me personalmente salvano la vita: lo sguardo dei miei figli, il profumo di una casa, di qualcosa che stavi cucinando, il ricordo di un abbraccio, di uno sguardo con la tua compagna. Insomma tutte quelle piccole cose che teniamo nascoste per preservarle dalla quotidianità sbagliata di ogni giorno”.

Viste le tue origini sarde, c’è qualcosa tra questi ricordi sopiti che ti riporta alla Sardegna?

“Moltissimi dei ricordi salvifici che ho della mia infanzia e della mia giovinezza sono legati alla Sardegna, perché per me significava vacanza. Quindi il momento in cui andavo a ritrovare non solo le mie radici, i profumi, i sapori, la mia Terra, ma anche i miei affetti, zii, cugini, quindi la mia famiglia. Il ricordo che ho della Sardegna è anche mio nonno che si chiamava Pietro, io mi chiamo Pier Francesco in onore suo, era l’unico che mi chiamava così. Veniva in camera alle 5 e mezza del mattino e mi svegliava portandomi una scodella di latte appena munto, di cui mi sembra ancora di sentire il tepore e il sapore. Questi ricordi sono entrati in “Quando trovo te” perché questo brano racconta proprio di quando questi ricordi vengono rievocati cambiandoti in meglio la giornata. Adesso, per esempio, penserò fino a stasera sera a mio nonno con la sua camicia a quadri e i pantaloni di velluto.

Quale sensazione hai provato quando durante il lockdown hai visto le immagini di una Brescia deserta sulle note dalla tua “Angelo”?

“Quella cosa lì è stata meravigliosa, perché stavo cercando il modo di sollevare gli umori di una città molto spaventata. Una città che, anche se si è riscoperta una comunità molto molto unitache stride con l’indole del bresciano. La comunità si è però riscoperta unita. È una città molto laboriosa e frenetica, ma nell’emergenza sanitaria ha riscoperto lo spirito più profondo di Brescia. Il poter sottolineare questa cosa attraverso quella canzone è stato per me motivo di grande orgoglio, e soprattutto scoprire che quelle parole su quelle immagini di colpo hanno assunto un significato molto diverso e profondo e molto salvifico per la città, mi ha reso molto contento”.

In riferimento a “Quando trovo te”, il brano che porterai a Sanremo, a che livello della tua interiorità sta il ricordo di una Brescia ferita e come trovavi riparo e protezione in quei giorni e come lo trovi ancora adesso?

“Nella canzone c’è anche una città che viene nominata ed è Brescia. Quello che mi salverà e ci salverà è proprio il ricordo della felicità, delle piccole cose, dei piccoli gesti quotidiani che non dobbiamo più rischiare di perdere, dimenticare. Quando parlo di quotidianità, parlo di tutti quei sentimenti come affetto, amore, amicizia, che legano ognuno di noi al prossimo”.

Sicuramente avrai visto le pagelle il giorno dopo il primo ascolto dei brani sanremesi da parte dei giornalisti, puoi darci un tuo commento in merito?

“Non do mai molto peso ai giudizi in generale, perché quello che mi interessa è quello che succederà sul palco dell’Ariston e soprattutto dopo. Quindi non do un grosso peso, perché mi metto anche nei vostri panni che ascoltate 26 canzoni in pochissimo tempo che non credo offra quella lucidità che in realtà servirebbe per poi dare un giudizio su una canzone. Poi credo che questa sia una canzone che abbia bisogno di essere ascoltata ed è uno dei motivi per cui ho voluto portarla a questo Festival, perché credo che crescerà nel corso delle serate a livello di percezione e arriverà chiaramente, non solo quello che è il significato testuale, ma anche il suo significato artistico”.

Parlando delle cover, sono state introdotte da Tony Renis nel 2004, l’anno prima che tu vincessi il Festival. Ci sono direttori artistici che ritengano che le cover ci debbano essere e altri, come Baglioni, che invece pensano che il focus debba essere interamente concentrato sui brani in gara. Tu a quale delle due scuole di pensiero appartieni?

“Credo che anche fare una bella cover che mi va di presentare, dia del valore aggiunto, dando una visione a 360° gradi dell’artista che si sta esibendo sul palcoscenico. Dal punto di vista pratico, penso che fare la tua canzone una volta in più magari con un ospite, può essere più utile alla canzone e alla motivazione del Festival. Comunque da interprete a me piace l’idea di poter fare una cover sul palco dell’Ariston così come mi pare, scelta da me, con chi vorrò condividerla. Trovo una cosa che dia una lettura artistica più ampia”.

Essendo tra i veterani del Festival, come vedi l’iniezione di gioventù di questa edizione?

“Mi diverte tantissimo questa cosa, perché sono stato al Festival 30 anni fa e avevo l’età che hanno adesso questi ragazzi che saranno con me sul palco, per me è anche un motivo di orgoglio essere ancora qui e giocarmela sul loro terreno. Essere rimasto collegato saldamente a quello che è il panorama musicale italiano, nonostante la mia veneranda età. Sono molto contento. Quando sono andato a Sanremo per la prima volta con i Timoria nel ’91 ero nelle nuove proposte e hanno istituito un premio della critica. Un premio ad hoc che ancora non esisteva per i giovani. Per me è molto emblematico il fatto che invece quest’anno ci siano dei giovani di quell’età tra i Big. Questa, secondo me, è la vera rivoluzione e il segno vero del cambio di passo che ha avuto Sanremo in questi trent’anni. Questa è per me la vera novità”.

Secondo te loro sono più avvantaggiati a cantare senza pubblico visto che non hanno fatto molti concerti come invece puoi averli fatti tu?

“Personalmente ti direi che cantare su un palco senza il pubblico è molto limitante, perché il pubblico ti da immediatamente un feedback di ciò che sta accadendo sul palcoscenico. E avendo fatto migliaia di concerti so anche che il palco dell’Ariston fa storia a sé, è sempre stata un’esperienza diversa da un concerto, quindi non ti so dire se saranno avvantaggiati o meno”.

Com’è nata “Quando trovo te”?

“Questa nuova avventura parte dagli scatoloni di un trasloco che avevo fatto quattro/cinque giorni prima del primo lockdown. E quindi mi sono trovato con tanto tempo a disposizione per svuotare questi scatoloni e fare ordine, Così ho trovato tutti i miei diari di quando avevo 16/17 anni in cui mi immaginavo poeta e ho trovato vecchie fotografie, ricordi tangibili che hanno scatenato altro ricordi che avevano sedimentato dentro di me per molti anni. Questo è stato sì liberatorio, ma anche l’inizio di questa canzone. In quei momenti è venuto davvero fuori il potere salvifico dell’oblio, ma anche il piacere di aver ritrovato dei ricordi che erano rimasti dentro di me nascosti dal casino di ogni giorno che in quell’occasione in maniera estremamente potente sono riaffiorati”.

Riguardo a questo Sanremo che verrà come passerai le giornate che saranno diverse dagli altri Sanremo che hai vissuto?

“Mentre gli altri anni mi facevo raggiungere da compagna e figli, quest’anno porterò con me tanti libri e bei maglioncini, per fare interviste e lavorare. Scherzi a parte, sarà sicuramente un Sanremo diverso. Diciamo che verrà a mancare tutto l’aspetto divertente del Festival: ovvero uscire, essere rincorsi, farsi i selfie con i fan, cercare di capire quello che stava succedendo nel mondo reale, perché Sanremo è sempre stata una settimana in cui venivi catapultato da un’altra parte dove era tutto Sanremo centrico, mentre il resto del mondo era relegato nella camminata tra l’hotel e la radio che andavi a fare o l’intervista. Questo aspetto mancherà molto come le cene pantagrueliche delle dopo performance, piuttosto che le feste. Quest’anno si lavorerà e basta, si leggeranno dei libri e nulla più”.

Un tuo ricordo sulla partecipazione a cui in qualche modo sei rimasto più legato.

“Su tutte c’è la prima, quella che ha segnato il mio percorso sanremese. Quella è stata la più entusiasmante, era l’inizio di tutto. E il ricordo che ho tenuto dentro di me fino ad oggi è quella vena di follia e di incoscienza che ci aveva portato a quel festival e anche quella voglia di rivoluzione, di cambiare il mondo. Questa cosa non è mai cambiata, ossia avere un’urgenza di farsi sentire. Ecco questa cosa l’ho sempre mantenuta negli anni e anche ora e soprattutto ogni volta che sono andato al Festival di Sanremo.

Poi ce ne sono tante: c’è il Sanremo del 2000 di “Raccontami” il primo da solista, poi c’è stato quello di “Tracce”, dove portavo delle tematiche che hanno segnato tutta la mia poetica, che era quella della perdita di mia madre, che è stato un momento molto difficile per me, soprattutto dal punto di vista cantautorale. Più che artistico è stato difficile dal punto di vista umano per me, mettermi a nudo su quel palcoscenico. Poi il 2005 l’anno della vittoria con “Angelo”, un anno importante che segna il mio passare da figlio a genitore raccontato in una canzone molto delicata. E poi sul palco c’era anche Ambra la madre di mia figlia, davvero un Sanremo con un mood molto molto speciale. In realtà tutte le mie partecipazioni al Festival hanno significato qualcosa e alcune lo sono state in maniera più profonda. Questo ultimo è sicuramente un Sanremo che passerà alle storia, perché si spera tutti che, fatto in questo modo sarà un Saneremo non si ripeterà più”.

Visto che il dimenticare, in senso di rimozione, è un meccanismo di difesa, quell’oblio salvifico di cui parli in “Quando trovo te”, potrebbe secondo te farci dimenticare un giorno questa pandemia? Nella tua vita hai mai dimenticato, o meglio nascosto, qualcosa di importante?

“Sì, nascondo tutt’ora, e il più delle volte sono cose che riaffiorano nei testi delle canzoni che scrivo, proprio perché la mia difficoltà comunicativa è profonda e radicata, e perché credo che l’artista usi la propria arte per raccontarsi e raccontare il mondo che vede, che lo attraversa e anche quello che in qualche modo si nasconde dentro di lui: i propri demoni, i propri fantasmi, le paure… Credo che riusciremo a dimenticare… non lo so. Penso che cercheremo di farlo ma, sai, ogni esperienza della nostra vita, ogni cosa che facciamo, che viviamo, in qualche modo ci cambia, quindi saremo tutti in qualche modo diversi, e questo cambiamento non riusciremo a dimenticarlo perché ci avrà comunque resi delle persone diverse e io continuo a sperare anche migliori, se possibile”.

Tornando al discorso del confronto generazionale: arrivi a Sanremo e ti trovi come “rivali” ragazzi che sono poco più grandi dei tuoi figli. Hai chiesto informazioni ai tuoi figli per sapere come sono, se li devi temere, ecc. ? Come sei cresciuto agli occhi dei tuoi figli a Sanremo?

“In realtà sono loro che fanno crescere me, dal punto di vista artistico e musicale. Sono le mie orecchie su quello che succede intorno da questo punto di  vista. Loro certamente conoscevano e conoscono tutti, non ti nego che un piccolo aiutino da casa me lo sono dovuto far dare (sorride). Però poi mi sono andato ad informare bene, ad ascoltare, insomma ho fatto i compiti, e devo dire che il cast è molto agguerrito e molto forte, c’è veramente tutto il panorama artistico e musicale contemporaneo. Un cast saldamente legato al momento e questo, tornando al divertimento, mi diverte tantissimo perché mi sento lo zio (ride)! Alcuni sono anche venuti a chiedermi dei consigli”.

Ci racconti un ricordo di Sanremo legato ai tuoi figli?

“I ricordi più belli di Sanremo legati ai miei figli sono quelli dei Festival a cui non ho partecipato e che mi sono goduto da casa con loro. La “cattiveria” dei commenti tralasciamola, perché con i giudizi sono cattivi quanto lo sono con me. Anche se su quest’ultima canzone che porto a Sanremo li ho sentiti meglio disposti, soprattutto Jolanda, la più grande. Forse perché ci ha ritrovato un po’ della musica che facevo prima, un po’ di rock and roll dei tempi dei Timoria; è una canzone più fresca, una scrittura più contemporanea. Sono curioso di sentire cosa diranno dopo la prima esibizione”.

Abbiamo parlato di un Sanremo della ripartenza: per te lo sarà solo da un punto di vista artistico o anche personale? 

“Sarà sicuramente una ripartenza personale perché torno a cantare su un palco dopo tanto, ma continuo anche a pensare che a livello simbolico questo Sanremo debba essere un momento di ripartenza per tutto il Paese, non solo per il comparto musica. Sottolineo ancora questa cosa perché alla luce di quello che è stato detto è veramente molto importante, non siamo solo noi su quel palcoscenico a cantare delle canzoni, perché la macchina di Sanremo fa lavorare centinaia di persone che altrimenti non avrebbero lavorato nemmeno questa volta”.

L’oblio salvifico di cui parli in “Quando trovo te”, per chi lo ascolterà sarà un consiglio, uno spunto per affrontare i mesi che ancora ci aspettano di difficoltà? Per te è stato un modo per affrontare questo periodo?

“Si per me il ricordo, l’oblio è sempre salvifico, sia quando ti salva la vita perché ti nasconde delle cose per evitare che tornino a farti del male, sia quando si presenta come ricordo che esplode e ti mette in una situazione migliore. Quindi per me questo oblio è stato sempre un modo per affrontare la vita in generale, la canzone, come ho già detto, nasce proprio dall’inizio del lockdown, quando appunto aprendo degli scatoloni sono venute fuori tutte quelle cose che credevo dimenticate e invece erano rimaste a sedimentare dentro di me. E non solo i rapporti con i miei figli e le persone a me più care, ma anche il ritornare a quelle cose di ogni giorno, al darsi una mano con il prossimo, essere inclusivi quando si può è tutto raccontato in questa canzone”.

Quali sono le emozioni che hai provato in fase di scrittura di questo brano che porterai a Sanremo?

“Le emozioni in me sono chiarissime. Le ricordo bene. Qualche mese fa, nel momento in cui si poteva ricircolare un po’, ho chiamato Dario perché avevo bisogno di scrivere qualcosa, così ci siamo ritrovati in studio a Milano con lui e Roberto Casalino e in quattro ore è nata la canzone: una cosa che succede raramente. E quando va così, vuol dire che è successo qualcosa di magico e io ricordo perfettamente la tensione artistica ed emotiva di quei momenti. Quando sono andato a casa non vedevo l’ora che Dario mi mandasse la prima cosa che avevamo buttato giù, perché non vedevo l’ora di risentirla e rivivere quelle emozioni. La canzone è stata poi modificata attraverso un lavoro di diversi mesi per renderla quella che sentirete a Sanremo”.

A chi dedicherai l’esperienza di Sanremo 2021 indipendentemente dal risultato?

“Questa è una canzone di speranza e di felicità, quindi a rischio di essere banale, direi che la voglio dedicare un po’ a tutti noi, perché c’è tanto bisogno di speranza in questo momento”.

Che consiglio daresti ai giovani artisti in gara al Festival?

“Il consiglio che do e che ho dato ai giovani che sono venuti a parlarmi durante una sessione fotografica per Sanremo, è quello di non perdere quella luce che brilla, che hanno dentro. Ognuno ha una luce, un fuoco che non devono assolutamente perdere. Questo è il mio piccolissimo consiglio, perché è quello che ho cercato di fare io da trent’anni a questa parte ogni volta che sono salito su quel palcoscenico, ovvero non perdere quella scheggia di follia e incoscienza che porta ognuno di noi a confrontarsi e mettersi in gioco su quel palcoscenico. Ricordo questa cosa qua come la migliore: andare a Sanremo e viverselo anche in maniera giocosa, divertendosi e divertendo, perché il rischio quando sei lì è sempre di vivere quella settimana come un qualcosa di avulso da tutto il resto. Ecco questo non deve succedere!”

FRANCESCO RENGA (foto di Toni Thorimbert)

“Quando trovo te” è un titolo che fa pensare anche al ritrovare sé stessi. Te lo dedicheresti?

“Si assolutamente lo dedico anche a me, oltre che a tutti noi!”

Cosa diresti al Francesco del passato?

“Al Francesco del passato direi che le cose arrivano, quando devono arrivare, che nessuno ce la può fare da solo e quindi direi di farsi aiutare e aiutare. Direi che la felicità non deve spaventare, perché non è detto che il prezzo da pagare sia necessariamente salato, quindi di cercarla sempre in ogni secondo della nostra esistenza. E poi direi che sarà un uno fortunato, direi di sperare nella fortuna. Perché grazie a Dio sono un uomo fortunato, se ho tutto ciò di cui ho bisogno e anche di molto molto di più”.

Cosa rappresenta per te il palco di Sanremo e come è cambiato il Francesco di adesso rispetto a quello della prima partecipazione?

“In un certo senso è rimasto lo stesso, al di là della parte anagrafica che sicuramente ha portato una certa maturità, una maggiore consapevolezza. È rimasto però intatto questa sorta di follia e di incoscienza di approcciarmi a questo evento con uno spirito molto leggero”.

C’è qualche vecchia esibizione delle passate edizioni di Sanremo che ti è rimasta particolarmente impressa?

“Mi ricordo una Anna Oxa che sale sul palco dell’Ariston vestita da uomo e canta una delle più belle canzoni della musica POP italiana: “Un’emozione da poco”. Poi mi ricordo ogni Sanremo, perché era un rito a casa. Ci si metteva tutti sul divano davanti alla TV e si ascoltavano le canzoni e se ne parlava, perché ognuno aveva la propria opinione e anche noi bambini eravamo tenuti in considerazione. Era un bel momento in cui la famiglia si riuniva”.

Nel prossimo album hai previsto qualche duetto?

“In realtà in questo momento non ho nemmeno l’idea di fare un album, sto dando libero sfogo alla mia creatività: sto scrivendo, sto mettendo appunto altre canzoni. Ma in questo momento l’unico mio orizzonte è Sanremo e questa canzone, senza nessun pensiero ad eventuali collaborazioni, perché come sempre le cose se devono succedere, succedono. A me è sempre piaciuto e divertito la collaborazione quando nasce spontanea da qualcosa che riguarda l’ambito artistico e non costruite ad hoc a tavolino”.

Cosa rivedi nei tuoi figli di te?

“Mi rivedo molto nei mei figli per motivi differenti: Jolanda è un’artista e Leonardo rispecchia l’altra parte della mia personalità, è un orso. A differenza mia vedo però in loro delle personalità molto più definite, quindi penso che saranno un uomo e una donna molto più sereni di me, che invece ho vissuto il contrasto tra le diverse sfaccettature della mia”.

Quindi nessun nuovo album in vista per Francesco Renga, almeno per l’immediato dopo Sanremo, che invece si prepara a tornare live da maggio con “Insieme Tour”, che lo vedrà protagonista dei principali teatri italiani.