Il racconto-recensione di Roberto Teofani del nuovo album di Luciano Ligabue: Made in Italy (Warner Music Italia). Molto più di un semplice concept album, una vera e propria storia.

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É la storia la protagonista di Made in Italy, l’ultimo entusiasmante lavoro di studio di Luciano Ligabue. La vita vista e raccontata da Riko.

Le sonorità dell’album, qualche organo, trombe e fiati anni ottanta, ritmi di un decennio prima, ci raccontano di un personaggio sui cinquanta, più o meno, perché “Mi chiamano ragazzo, non guardano l’età!”.

Così seguiamo e scopriamo la vita di Riko grazie a questo coraggioso concept album, le sue osservazioni sul mondo che vede, il nostro belpaese, sente, ascolta e le sue esternazioni verso una società che sfugge e che non capisce, tra promesse elettorali e selfie. “La vita facile“, insomma.

La vita anche semplice, quotidiana del lavoro e del venerdì quando “é meglio uscire che scoppiare!”, e comunque “è venerdì non mi rompete i coglioni“, mentre qualcuno in cerca di rogna, con qualche sostanza non del tutto legale in corpo, si offre di accorciargli la vita, e lui va in giro scanzonato con Carnevale.

In casa intanto, quando prima c’era mare mosso ora c’è solo lago piatto, Riko ci dipinge una storia prosciugata, andata, una casa che non si scalda. “Vittime e complici” di questa storia, entrambi stanchi e persi nei ricordi. E poi il lavoro, un mondo strano dove non si arriva mai e ti vergogni a dire “Meno male“, perché si vede che non hai più coraggio. La storia di tanti, inseguiti da un mondo, un “G-come Giungla“, dove le regole sono saltate, dove sei cacciatore o preda, un modo di vivere e di pensare che devi inseguire, in una guerra, dove adattarsi per sopravvivere.

“Le favole sono dimenticate”. Cannibalismo sociale, violenza e tanti, gratuiti, mi piace da contare, perchè quelli te li lasciano, tranquillo, non hai bisogno di altro.

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Un bilancio della propria vita, al limite dei sogni e dei ricordi, lo fa in “Ho fatto in tempo ad avere un futuro che non fosse soltanto per me“. Forse un manifesto generazionale, tra quella di oggi, digitale e insicura, superficiale e virtuale e l’ultima concreta, rivoluzionaria e fisica, dove trovarsi ne “L’occhio del ciclone” era all’ordine del giorno.

Succede anche ora, in piazza o negli stadi, perché non ci sono ragioni quando ti ritrovi nel vortice, tra polizia e manifestanti, tra black block e ministri, tutto sotto l’occhio del ciclone e le immagini devastanti in tv. Il poliziotto-ragazzo lo sa che anche se trema “qualche cosa va fatta”, quando sei solo e nessuno ti ascolta o ti dice come comportarti, come a Genova tanti anni fa. E quando tutto passa resta un tunnel di drammi, di vite spezzate e cambiate per sempre. Non per chi tiene i fili però, che resta pulito.

Quasi uscito“, è tutto finito ora che sei lì a terra, mentre il sangue gocciola e la mente vaga, serena. E poi dalla piazza al fresco, a pagare perché eri proprio lì.

Ma Riko non demorde e quando si presenta la “Dottoressa” torna a essere il maschio che si racconta al bar, vivendo un’avventura da infiocchettare giusto un po’ tra gli amici. “Dottoressa mi guarisca”.

Ogni tanto spunta un ritmo reggie, una batteria anni ottanta, per raccontare della sua incredibile notorietà, perché ha rischiato ma è sopravvissuto, con gli operatori fuori ad aspettare proprio te, pronti a guadagnarsi da vivere grazie ad una domanda, un filmato o una foto del nuovo v.i.p.

I miei quindici minuti” di notorietà possono capitarti anche, e soprattutto, per qualcosa di poco pulito. Ma poi passa come niente, dopo l’intervista. “Apperò“, sei solo carne da macello, ed i sorrisi e l’interesse per te sfioriscono allo spegnersi del microfono.

Siamo italiani e la storia di Riko è quella di tanti altri. E allora facciamo un viaggio, città per città. Made in Italy.

made in italy ligabueQuesto è quello che viviamo, tutti i giorni, in un paese strano e difficile da decifrare, e da collocare in un futuro possibile. Ma a volte basta sognare per fuggire e raccontarci, sorridendo e sognando, magari con una bella melodia, veramente bella, “Un’altra realtà“.

Sperando che ci sia un’altra realtà.

Si conclude Made in Italy con un incanto, una piccola canzone prigioniera nella mente e che la mente custodisce accanto ai ricordi, gelosamente. Dopo tanta realtà si riprende un filo, un pensiero intimo, da preservare e forse no, da non condividere neanche sui social.

Perché nel mondo là fuori non c’è spazio per la dolcezza e la poesia.

A meno che non siano ben sponsorizzate.

A meno che non siano Made in Italy.