La gravità senza peso è il nuovo sorprendente album del polistrumentista Fabio Biale, che ci porta in un’affascinante esperienza d’ascolto tra Django Reinhardt, indie rock e le Lezioni americane di Italo Calvino insieme ad ospiti del calibro di Zibba, Dario Canossi dei Luf e l’attore Mauro Pirovano. Recensione
Dopo la lunga militanza con Zibba e Almalibre e le avventure folk con i Luf, i Liguriani e i Birkin tree, il violinista cantante e polistrumentista Fabio Biale è tornato in studio da solo per dar vita a La gravità senza peso, il suo nuovo album. Un lavoro in cui è riuscito ad andare ben oltre la semplice raccolta di canzoni originali, dando vita ad una vera e propria raccolta di racconti: ben dodici, ognuno con uno stile diverso e un diverso sottofondo musicale, dallo swing gitano, al valzer, al canto narrativo, al rock. Un nuovo e affascinante modo di raccontare i protagonisti di quell’incredibile romanzo che è la vita: eroi, innamorati, assassini, mendicanti; i disillusi e gli inarrestabili.
Polistrumentista e dotato di un’accattivante voce e capacità interpretativa, Biale lascia trasparire la sua vena jazz accompagnando la sua musica con testi ricercati e dalle fantasiose contaminazioni letterarie, partendo da un assunto “preso in prestito” ad Italo Calvino, ricordando come la leggerezza pensosa possa dare forma e volo alle storie che viviamo. Storie dove si alternano protagonisti lontani tra loro, come varia è la scelta dei generi presenti nelle tracce del disco.
I luoghi contano: un supermarket (Crapa pelata), La caffetteria Bandiani dove inscenare una commedia alla Stefano Benni, Albergo Zot accompagnato dalla profonda voce di Zibba, o la mancanza di qualcuno, come in Si però non eri qui, allegra ode a chi non c’è e che, come ama ripetere, ti rende completo, unico.
Fare musica, suonare e mostrare tanta consapevolezza della libertà ritmica in un album, con evidenti richiami al rock, alla melodia italiana che viene dalla sua terra (Liguria) e al grande Django Reinhardt non può bastare: le ricerche sonore e strumentali vanno ben oltre la definizione di contaminazione dei generi, dando l’impressione che in giro ci sia musica limitata e che con quest’arte si possa fare tutto, di tutto.
Dopo l’ascolto di Il bolo isterico immaginavo di dover commentare una serie di canzoni simili tra loro come spesso avviene in giro, quasi che il richiamo al grande jazz fosse un limite ed un vincolo. Al di là della meraviglia che questo genere e l’interpretazione di Biale donano alla mente, sono rimasto piacevolmente colpito dal poter apprezzare delle ballate valide e sognanti come Marzo, sorpreso di poter ricordare un partigiano e la resistenza, immergermi in Gesti e nelle immagini fotografiche che suscita, fino a perdermi in giri di chitarra e archi che permettono di viaggiare (Con la mano tesa) nel mondo della riflessione e del ricordo (Tutto sommato)
La musica è essere e non ha confini. Ascoltando quest’album ti ritrovi a non averli, a non credere che possano esistere e magari che la gravità sia veramente solo un’idea, sia veramente senza peso.