Dopo quasi vent’anni Daniel Pennac torna a raccontare le strampalate vicende della famiglia Malaussène nel suo ultimo romanzo Il caso Malaussène edito da Feltrinelli (recensione)
Daniel Pennac con Il caso Malaussène, torna a raccontare le vicende della famiglia Malaussène dopo quasi vent’anni.
I personaggi sono gli stessi ma cresciuti ed i protagonisti sono infatti i giovani, quelli che nei romanzi precedenti abbiamo visto nascere: Verdun, la sorella di Benjamin, Signor Malaussène, il figlio ed i nipoti E’ Un Angelo e Maracuja.
Come da tradizione il romanzo si apre con un atto criminale, stavolta un rapimento, che coinvolge la nazione intera, l’opinione pubblica e il governo, e naturalmente la famiglia.
Georges Lapietà, uomo d’affari non sempre limpidi, si sta recando presso la sua ex-azienda a ritirare un paracadute d’oro, discussa buona uscita per aver licenziato migliaia di dipendenti, ma qualcuno lo impacchetta dentro la sua auto e se ne perdono le tracce.
Un emblematico riscatto e le condizioni imposte tradiscono un intento simbolico, enfatizzato dal Manifesto dei rapitori, contro la povertà regnante e la disparità di ricchezza, che secondo il testo trova il colpevole principale nel Governo del paese.
Fa un certo effetto ritrovare Benjamin e Julie nel Vercors, intenti a rimirare i tramonti ed invecchiare, presi dal solito lavoro poco ortodosso di Malaussène per le edizioni del Taglione e a riflettere sul gap generazionale con i nipoti ed il figlio, persi nel mondo a ricostruire la dignità umana per le ONG.
Mi hanno mentito, sottotitolo del romanzo, altro non è che un romanzo esso stesso, pubblicato dalla Regina Zabo, memorabile editrice che segue il vincente filone dei Vevè, autori schiavi della verità.
La verità fa male però, soprattutto quando qualcuno, Alceste, l’autore del libro, svuota il sacco mettendo alla gogna i suoi genitori adottivi e le loro menzogne. Ecco qual’è il ruolo di Benjamin, occuparsi dell’incolumità degli autori e della violenta reazione dei parenti, protagonisti involontari delle storie di questi romanzi. La verità.
Il problema è che la storia si complica e si comincia ad intuire chi siano i rapitori, sostituiti in corsa da altri, professionisti stavolta.
Poi naturalmente il capro espiatorio, l’animale che vive in fondo all’animo di Ben esce allo scoperto e il nostro si ritrova un elenco di capi d’accusa per il rapimento da serial killer, come nei volumi precedenti.
Un problema sorge, però: siamo a fine libro, le ultime pagine, e mi rendo conto che tutto è ancora sul fuoco, le storie si sono intersecate come sempre grazie all’abile penna di Pennac e la conclusione non arriva.
Ben non è in prigione, Lapietà chissà dove, la famiglia bene o male sopravvive tranquilla lì a Belleville… la richiesta di riscatto non ha avuto risposta, qualcuno è in fin di vita e non si sa che fine farà…
Ultima pagina: quello che non ti aspetti! La parola che mai avrei creduto di leggere in un libro su Malaussène campeggia disegnata in bello stile, con tanto di puntini sospensivi.
“Continua…”
non ci posso credere!
Devo aspettare così tanto per finire questa storia?!
Ero pronto alle reminiscenze dei volumi precedenti, mi sono anche sorpreso di come la mia memoria delle vecchie vicissitudini fosse così brillante, tanto da apprezzare la metamorfosi di Verdun e la sua necessità di trasformismo non nuova in Pennac, e tutti i richiami alle vite precedenti, i legami di parentela, la fedina penale di Ben…
Ma questo no!
Caro Daniel l’hai fatta grossa! Ti perdono solo perché è stato meraviglioso, grazie a Il caso Malaussène, immergersi nuovamente, come quando avevo vent’anni, nel mondo della tua fantasia, in quel di Belleville, dietro la saracinesca di una vecchia casa-ferramenta.
E allora…che dire di più?
Ah già:
“Continua…”