Continua il nostro viaggio con la fantasia che oggi ci porta in quel di Lecce con il racconto della nostra Valeria Cudini e il maestro cartapestaio Galatino Pastrucci

Galatino Pastrucci risaliva a passo lento le vie del centro. Come tutte le sere era uscito dal suo laboratorio dove ormai, dopo quel giorno, per lui non c’era stato più un attimo di pace.

Ma come era stato possibile che proprio un povero diavolo come lui, nel vero e proprio senso della parola, fosse diventato, in men che non si dica, un artista famoso che tutti, ma proprio tutti volevano conoscere e addirittura intervistare? Lui, così schivo, sempre da solo, sempre avvolto rigorosamente nei suoi abiti tutti bianchi e nella mantella color porpora che faceva sorridere le genti quasi che, senza che se ne fosse mai davvero reso conto, volesse assomigliare a uno di quei cardinali che lui odiava tanto?

Sì, perché dovete sapere che per Galatino Pastrucci, il cui nome di battesimo era opera di una mente davvero estrosa come quella della madre nata e vissuta tutta la vita nella salentina Galatina, odiava tutto ciò che aveva a che fare col sacro. Ed era davvero un paradosso se consideriamo che lui, proprio lui, dopo la morte della madre (il padre non lo aveva mai conosciuto, era morto in guerra quando lui aveva poco più di 6 mesi) – quel capo di ingegno originale – si era trasferito a vivere da una zia a Lecce a soli 13 anni. E cosa volete trovare a Lecce se non arte barocca e immagini e riproduzioni sacre ovunque? E il maestro cartapestaio dal quale era stato mandato a bottega solo un anno dopo essere piombato nella bianca e accecante Lecce non voleva forse da lui, piccolo ragazzino di Galatina di nome Galatino, povero piccino verrebbe da dire a noi comuni mortali dai nomi normali, che si cimentasse in riproduzioni a grandezza naturale di Madonne, Cristi e santi di ogni tipo? Una vera condanna per uno come lui cresciuto con la convinzione che tutto nascesse dalla terra e che nessun essere sovrannaturale se non il diavolo potesse esistere? Perché i frutti li dava la terra e il diavolo li toglieva quando voleva per fargli dispetto (alla terra e alle persone ovviamente).

I bambini, quando era piccolo, era davvero certo che nascessero sotto un cavolo o sotto una serie di cime di rapa ammassate. Per lui niente di più naturale perché sin da piccolissimo ricordava sua mamma in cucina che preparava immensi quantitativi di orecchiette con le cime di rapa e quel profumo di aglio… Gnam gnam… A tante persone dava fastidio l’odore e il sapore dell’aglio, ma lui da bambino saliva su uno sgabello e, velocissimo, rubava sempre una testa d’aglio e poi, di nascosto, se lo mangiava uno spicchio dopo l’altro. Tutti ormai se ne erano accorti, perché, come dire, diffondeva un odorino mica male il fanciullo. E questa cosa era continuata anche da adulto quando, dopo aver appreso con maestria dal maestro cartapestaio Giovannino come realizzare santi e madonne e avendo permesso a lui (solo a lui perché di quei guadagni il nostro Galatino aveva visto solo le briciole) di realizzare pure delle belle cifrette dalla vendita delle sue opere, aveva finalmente potuto dedicarsi a ciò che amava di più: statue e maschere carnevalesche. Ne faceva dei tipi più strani nella sua botteguccia in una via un po’ decentrata dalle zone più fighette della barocchissima Lecce… le vendeva per corrispondenza con un corriere che, ancora non aveva capito il perché, faceva quasi fatica ad avvicinarsi al suo negozio quando doveva ritirare le statue, i carri o le maschere commissionate. Ma poi era accaduto qualcosa di davvero imprevedibile per lui maestro cartapestaio amante di diavoli, creature mostruose, sataniche, ironiche, deformate e chi più ne ha più ne metta… Un giorno davanti alla sua inquietante ma coloratissima bottega era passato un giornalista di una televisione importante che si trovava a Lecce proprio per fare un servizio su questa antica arte del lavorare la cartapesta.

Si chiamava Ruggero Della Fonte, aveva le scarpe lucide, che decisamente per camminare a Lecce non erano adatte, e un aspetto raffinato ed elegante. Sì, era decisamente uno “straniero”. Eppure aveva stranamente varcato la soglia della sua bottega anche se aveva prontamente coperto la bocca assalito da una zaffata di… Ma sì era l’aglio, tutto l’aglio che il nostro Galatino Pastrucci si divorava ormai da decenni e che aveva impregnato la sua persona e tutte le creazioni artistiche che lo circondavano. Della Fonte si era fatto coraggio, seppure la fronte imperlata di un sudore che aveva preso subito il sentore di aglio, avesse tradito il suo forzatissimo aplomb, si era avvicinato a Galatino ed era subito partito con un’intervista che, pochissimi giorni dopo, era stata trasmessa in tv e ripresa da tutte le emittenti più importanti. Ebbene sì, ormai era certo: a Lecce viveva un vero talento, un’artista originalissimo tutto da scoprire. Lui non lo sapeva, nessuno glielo aveva mai fatto davvero capire quanto fosse bravo eppure era lui: Galatino Pastrucci, maestro cartapestaio, “agliaio” convinto, autore di opere eccessive, spregiudicate, controcorrente dove il profano aveva ucciso il sacro, ma la mano esperta, forgiata con anni di santi e madonne (in ogni senso), svelava un uomo dall’estro incontenibile che avrebbe lasciato un segno nell’arte postmoderna.