Tratto dal romanzo autobiografico di James Lord, Un ritratto di Giacometti, arriva l’8 febbraio al cinema, distribuito da BIM, la nuova opera da regista del grande Stanley Tucci: Final Portrait. L’arte di essere amici. Trama, trailer e recensione
Con il suo nuovo lavoro da regista, Final Portrait. L’arte di essere amici, il grande Stanley Tucci ci conduce in una splendida Parigi del 1964, aprendoci una finestra sulla straordinaria quanto insolita amicizia tra due artisti di quel periodo: lo scrittore americano e appassionato d’arte James Lord (Armie Hammer) e Alberto Giacometti (Geoffrey Rush), un pittore di fama internazionale.
Tucci trae infatti la sua sceneggiatura proprio dal romanzo autobiografico di Lord, Un ritratto di Giacometti, in cui lo scrittore racconta il suo ultimo incontro con Giacometti, che gli chiede di posare per lui. Lord, incuriosito e lusingato, accetta, rassicurato dal fatto che sarebbe bastato il lavoro di un pomeriggio e quindi non avrebbe ritardato il rientro negli Stati Uniti.
Ma le cose non andarono così perché il compimento dell’opera richiese ben 18 estenuanti sedute, durante le quali Giacometti cancellava e ricominciava da capo il ritratto in una spasmodica ricerca della perfezione. Quadro che terminò solo quando Lord, ormai fortemente provato, disse all’artista che non avrebbe più potuto aggiungere o togliere nulla alla sua opera. Giacometti, non completamente soddisfatto del risultato, regalò il quadro a Lord, promettendo che ne avrebbe dipinto un altro. Ma non lo fece mai perché, già avanti con l’età, morì due anni dopo, senza incontrare più il suo amico. Il quadro fu venduto nel 1990 per oltre 20 milioni di dollari.
Il lavoro fatto da Stanley Tucci con Final Portrait è assolutamente straordinario, in primis perché non si tratta di un biopic in quanto, come ha dichiarato lo stesso regista durante la conferenza stampa di presentazione del film: sono spesso un concentrato di due ore di fatti biografici, mentre lui trova molto più interessante fermarsi su un solo periodo, magari breve, della vita di un uomo, magari un piccolo frammento temporale dove trovare però l’essenza delle persone. Spesso sono le piccole cose che ci danno un’idea vera dell’intero personaggio.
Ed è proprio ciò che ha fatto Tucci: raccontarci Giacometti attraverso il suo processo creativo, le sue piccole manie e grandi ossessioni. Il suo rapporto con gli altri: gli amori, le amicizie, suo fratello. Il tutto scelto con l’unico fine di poter assecondare il suo estro artistico: poter creare come un adulto bambino, vivendo quindi come tale, contornandosi solo di persone che avrebbero potuto assecondare questa sua scelta di vita.
Per rendere al meglio l’idea di quanto l’artista dedicasse anima e corpo al suo lavoro, l’azione si svolge in buona parte nel suo studio, ricostruito sul set dallo scenografo James Merifield, basandosi su foto e filmati del vero studio di Giacometti. Una ricostruzione molto accurata su cui il direttore della fotografia Danny Cohen e il tecnico delle luci Paul McGeachan hanno potuto progettare un impianto che ha consentito di girare a qualsiasi ora del giorno e in cui le due telecamere a spalla che hanno fatto le riprese si sono potute muovere con una certa libertà dando dinamicità alle scene, che altrimenti avrebbero rischiato di risultare statiche.
Il continuo cambio di soggettiva dà l’impressione a chi guarda di trovarsi nello studio di Giacometti ad assistere al suo atto creativo. Sembra quasi di percepire le sue frustrazioni e i momenti di esaltazione, di riuscire a cogliere l’estemporaneità del processo artistico.
Un plauso particolare va a Geoffrey Rush che con la sua eccellente interpretazione è riuscito a cogliere alla perfezione l’essenza di quel personaggio estremamente complesso e affascinante che è stato Giacometti.
Un film emozionante e bello da vedere, che proprio come una splendida tela d’artista offre differenti spunti di riflessioni sul mondo dell’arte e sui rapporti umani. Nelle sale cinematografiche dall’8 febbraio distribuito da BIM.